Ricorso della Regione Campania (c.f. 80011990636), in persona del
Presidente della Giunta regionale  pro  tempore,  On.  Dott.  Stefano
Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi della delibera della Giunta
regionale n. 171 del 31 marzo 2015,  giusta  procura  a  margine  del
presente atto, unitamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti Maria D'Elia
(c.f.  DLEMRA53H42F839H)  e  Almerina  Bove  (c.f.  BVOLRN70C46I262Z)
dell'Avvocatura regionale, e dal Prof.  Avv.  Beniamino  Caravita  di
Toritto (c.f. CRVBMN54D19H501A), del libero  foro,  ed  elettivamente
domiciliata presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione Campania
sito in Roma alla Via Poli, n. 29 (fax: 06/42001646;  pec  abilitata:
cdta@legalmail.it); 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro  tempore  per
la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale   dell'articolo
4-bis, del d.l. 5 gennaio 2015, n. 1, avente ad oggetto «Disposizioni
urgenti per l'esercizio di imprese di interesse strategico  nazionale
in crisi e per lo sviluppo della  citta'  e  dell'area  di  Taranto»,
introdotto dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale 5 marzo 2015, n. 53, per violazione degli articoli 77, 114,
secondo comma, 117, terzo comma, 118, primo  e  secondo  comma,  119,
121, 123 e 97 e 120 della Costituzione. 
 
                                Fatto 
 
    Con decreto-legge n. 1 del 5 gennaio 2015, il Governo ha adottato
«Disposizioni  urgenti  per  l'esercizio  di  imprese  di   interesse
strategico nazionale in crisi  e  per  lo  sviluppo  della  citta'  e
dell'area  di  Taranto».  La  legge  di  conversione  n.  20/2015  ha
introdotto l'art. 4-bis, che statuisce: «All'articolo 43 della  legge
24 dicembre 2012, n. 234, dopo il comma 9 e'  inserito  il  seguente:
"9-bis.  Ai  fini  della  tempestiva  esecuzione  delle  sentenze  di
condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea  ai  sensi
dell'articolo 260, paragrafi 2 e 3, del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea, il fondo di  rotazione  per  l'attuazione  delle
politiche comunitarie di cui all'articolo 5  della  legge  16  aprile
1987, n. 183, e' autorizzato ad anticipare, nei limiti delle  proprie
disponibilita',  gli  oneri  finanziari  derivanti   dalle   predette
sentenze, entro i  termini  di  scadenza  fissati  dalle  Istituzioni
europee. Il fondo di rotazione  provvede  al  reintegro  delle  somme
anticipate  mediante   rivalsa   a   carico   delle   amministrazioni
responsabili delle violazioni che hanno determinato  le  sentenze  di
condanna, sentite le stesse, anche con compensazione con  le  risorse
accreditate dall'Unione europea per il  finanziamento  di  interventi
comunitari  riguardanti  iniziative  a   titolarita'   delle   stesse
amministrazioni e corrispondenti cofinanziamenti nazionali"». 
    La disposizione sopra  richiamata  consente  dunque  il  recupero
delle somme necessarie a dare esecuzione alle  sentenze  di  condanna
rese dalla Corte di  giustizia  europea,  attraverso  l'anticipazione
delle predette somme dal fondo di rotazione  per  l'attuazione  delle
politiche   comunitarie,   mediante   rivalsa    a    carico    delle
amministrazioni responsabili delle violazioni che  hanno  determinato
la sentenza di condanna, «sentite le stesse». 
    Le richiamate  disposizioni  del  decreto-legge  n.  1  del  2015
risultano  gravemente  lesive   delle   prerogative   della   Regione
ricorrente,   in   quanto   viziate   da   manifesta   illegittimita'
costituzionale per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1. Illegittimita' dell'art.  4-bis  del  d.l.  n.  1  del  2015,  per
contrasto con gli articoli 114, secondo comma, 117, terzo comma, 118,
primo e secondo comma, 119, 121, 123 e 97 e 120 Cost. 
    Come visto nella parte in «fatto»,  l'art.  4-bis  disciplina  il
recupero, a valere sul Fondo di rotazione,  delle  somme  erogate  in
esecuzione di  sentenze  della  Corte  di  Giustizia,  prevedendo  la
possibilita' per il Fondo  di  rivalersi  sulle  amministrazioni  che
abbiano dato causa alla condanna sentite le stesse. 
    Ebbene, le disposizioni in esame, cosi' come formulate,  appaiono
in primo luogo lesive degli art. 119 e 120 Cost. 
    L'art.  119,  infatti,  come  noto,  prevede  che  i  Comuni,  le
Province, le Citta' Metropolitane e le  Regioni  hanno  autonomia  di
entrata  e  di  spesa,  nel  rispetto  dell'equilibrio  dei  relativi
bilanci,  e  concorrono  ad  assicurare  l'osservanza   dei   vincoli
economici  e  finanziari   derivanti   dall'ordinamento   dell'Unione
europea. 
    Tale disposizione, dunque, garantisce piena autonomia finanziaria
alle regioni,  autonomia  che  non  puo'  non  tradursi  anche  nella
possibilita',  per  l'ente,  di  scegliere  quali  spese  limitare  a
vantaggio di altre. 
    Ed infatti, se secondo il costante orientamento di Codesta ecc.ma
Corte costituzionale, le norme statali recanti principi  fondamentali
di coordinamento della finanza pubblica possono «porre  obiettivi  di
riequilibrio della  medesima»,  ma  non  devono  prevedere  «in  modo
esaustivo strumenti o modalita' per  il  perseguimento  dei  suddetti
obiettivi» (sentenze n. 284 e n. 237 del 2009) e devono lasciare alle
Regioni «la possibilita' di scegliere in un  ventaglio  di  strumenti
concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (sentenze n.
156 del 2010 e n. 341 e n. 237 del 2009), appare del  tutto  evidente
che tale principio debba  essere  esteso  altresi'  al  caso  in  cui
l'obiettivo del legislatore sia assicurare l'osservanza  dei  vincoli
economici  derivanti  dalla  partecipazione  dell'Italia   all'Unione
europea. 
    Pertanto, non puo' non  ritenersi  che  il  coinvolgimento  della
Regione nel procedimento di rivalsa per quanto erogato a  valere  sul
Fondo di rotazione debba  avere  i  caratteri  dell'intesa  in  senso
forte, con la quale si  stabiliscano  le  modalita'  di  restituzione
degli importi nonche' i termini per l'adempimento. 
    Differentemente, in assenza di un'intesa su  questi  profili,  le
Regioni  si  vedrebbero  spogliate   autoritativamente   di   risorse
finanziarie   destinate   allo   svolgimento   di   propri    compiti
istituzionali, e che invece dovrebbero essere reindirizzate  a  scopi
differenti   imposti   dalla   legge   statale,    cosi'    incidendo
sull'autonomia organizzativa e sulla programmazione  delle  attivita'
regionali. 
    Le scelte di spesa compiute dall'ente territoriale risulterebbero
pertanto alterate, senza possibilita' di dar preferenza a determinati
tagli piuttosto che ad altri, ridondando  altresi'  nella  violazione
dell'art. 97 Cost. 
    Del resto, la necessita' di un'intesa di tale tipo e'  confermata
dalla formulazione dei commi precedenti a quello  qui  in  esame.  In
particolare, il comma 6 dell'art. 43 della legge n. 234/2012  prevede
che «La misura degli importi dovuti allo Stato a titolo  di  rivalsa,
comunque non superiore complessivamente agli oneri finanziari di  cui
ai commi 3 e 4, e' stabilita con decreto del Ministro dell'economia e
delle  finanze  da  adottare  entro  tre  mesi  dalla  notifica,  nei
confronti degli obbligati, della sentenza esecutiva di condanna della
Repubblica italiana. Il decreto del Ministro  dell'economia  e  delle
finanze costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati  e
reca la determinazione dell'entita' del credito dello  Stato  nonche'
l'indicazione delle modalita' e  dei  termini  del  pagamento,  anche
rateizzato. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non
ancora liquidi, possono essere adottati  piu'  decreti  del  Ministro
dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del
credito dello Stato». A sua volta,  il  comma  7  stabilisce  che  «I
decreti ministeriali di cui al comma 6, qualora  l'obbligato  sia  un
ente territoriale, sono emanati  previa  intesa  sulle  modalita'  di
recupero con gli enti obbligati. Il termine  per  il  perfezionamento
dell'intesa e' di quattro mesi decorrenti dalla data della  notifica,
nei  confronti  dell'ente  territoriale  obbligato,  della   sentenza
esecutiva di condanna  della  Repubblica  italiana.  L'intesa  ha  ad
oggetto la determinazione dell'entita'  del  credito  dello  Stato  e
l'indicazione delle modalita' e  dei  termini  del  pagamento,  anche
rateizzato. Il contenuto dell'intesa e' recepito, entro un  mese  dal
perfezionamento, con  provvedimento  del  Ministero  dell'economia  e
delle finanze, che costituisce titolo esecutivo nei  confronti  degli
obbligati. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o  non
ancora  liquidi,  possono  essere  adottati  piu'  provvedimenti  del
Ministero dell'economia e delle finanze in  ragione  del  progressivo
maturare  del  credito  dello   Stato,   seguendo   il   procedimento
disciplinato nel presente comma». 
    Da  ultimo,  il  comma  8  dispone  che  «In  caso   di   mancato
raggiungimento dell'intesa, all'adozione del provvedimento  esecutivo
indicato nel  comma  7  provvede  il  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri,  nei  successivi  quattro  mesi,  sentita   la   Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del  decreto  legislativo  28  agosto
1997, n. 281, e successive modificazioni. In caso di oneri finanziari
a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati
piu' provvedimenti del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  in
ragione del progressivo maturare del credito dello Stato, seguendo il
procedimento disciplinato nel presente comma». 
    Come si vede, dunque, differentemente dal comma 9-bis  introdotto
dal d.l. n. 1 del 2015, i commi  precedenti,  ed  in  particolare  il
comma 7, si esprimono in termini di  intesa.  Non  si  vede,  dunque,
secondo quale logica gli enti territoriali possano  essere  coinvolti
in termini di intesa quando il procedimento di rivalsa passi  per  il
Ministero dell'economia, e invece solo «sentiti» quando  a  rivalersi
sia il Fondo di  rotazione  che  abbia  anticipato  le  somme  dovute
all'Unione europea. L'irragionevole  -  anche  alla  luce  dei  commi
precedenti - formulazione del  comma  9-bis,  introdotto  con  l'art.
4-bis del d.l. n. 1 del 2015, lede, pertanto, altresi'  il  principio
di leale collaborazione sancito dall'art. 120 Cost.,  in  virtu'  del
quale la coesistenza di diversi livelli  di  governo  sul  territorio
comporta  inevitabilmente  la  necessita'  di  individuare  forme  di
collaborazione  e  di  concertazione,  al  fine   di   evitare   ogni
possibilita' di insorgenza di conflitti sul piano amministrativo. 
    Ed infatti, come sancito dalla costante e pacifica giurisprudenza
di codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale,  «il  principio  di  leale
collaborazione deve presiedere a tutti i  rapporti  che  intercorrono
tra Stato e Regioni: la sua elasticita' e  la  sua  adattabilita'  lo
rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti
in  questione,  attenuando   i   dualismi   ed   evitando   eccessivi
irrigidimenti. La genericita' di questo parametro,  se  utile  per  i
motivi sopra  esposti,  richiede  tuttavia  continue  precisazioni  e
concretizzazioni.  Queste  possono  essere  di  natura   legislativa,
amministrativa o  giurisdizionale,  a  partire  dalla  ormai  copiosa
giurisprudenza di questa Corte» (Corte cost., sent. n. 31 del 2006). 
    Il rispetto di tale principio generale richiede dunque, nel  caso
di specie, l'osservanza di un dovere  di  cooperazione  istituzionale
che si esprime attraverso l'intesa ai sensi  dell'art.  8,  comma  6,
della legge n. 131/2003, adottata in sede di Conferenza Stato-Regioni
o di Conferenza  Unificata,  luoghi  che  rappresentano  le  sedi  di
confronto tra i differenti livelli di governo territoriale. 
    Peraltro, nemmeno potrebbe invocarsi, per  giustificare  la  mera
consultazione della Regione, il rilievo  degli  interessi  menzionati
nella legge statale, e dunque la dichiarata esigenza -  nel  caso  in
esame - di evitare un grave danno all'erario. 
    Codesto ecc.mo Collegio ha infatti avuto modo  di  chiarire  come
«Il  rilievo  nazionale  degli  interessi  menzionati   nella   norma
censurata  non  e'  da  solo  sufficiente  a  rendere  legittimo   il
superamento dei limiti alla potesta' legislativa dello Stato e  delle
Regioni fissati dal  riparto  costituzionale  delle  competenze»,  ed
altresi' che la Costituzione non  consente  "che  una  situazione  di
necessita'  «possa  legittimare  lo  Stato  ad  esercitare   funzioni
legislative in modo  da  sospendere  le  garanzie  costituzionali  di
autonomia degli enti territoriali [...].» (Corte cost., sent.  n.  39
del 2013). 
    Alla luce di tutto quanto sopra,  le  disposizioni  si  pongo  in
contrasto con gli articoli 119 e 120 Cost., e devono pertanto  essere
dichiarate illegittime. 
2. Illegittimita' dell'art.  4-bis  del  d.l.  n.  1  del  2015,  per
contrasto con l'articolo 77 Cost. 
    Sotto diverso  profilo,  occorre  rilevare  che  le  disposizioni
contenute nell'art.  4-bis  sono  state  introdotte  dalla  legge  di
conversione  n.  20  del  2015  al  d.l.  n.  1  del  2015,   recante
«Disposizioni  urgenti  per  l'esercizio  di  imprese  di   interesse
strategico nazionale in crisi  e  per  lo  sviluppo  della  citta'  e
dell'area di Taranto», e integrano pertanto un emendamento del  tutto
disomogeneo  con  il  contenuto  e  le   finalita'   del   menzionato
decreto-legge. 
    A tal proposito, e' in primo luogo opportuno ribadire che codesta
ecc.ma Corte, con giurisprudenza costante, ha ritenuto ammissibili le
questioni di legittimita' costituzionale prospettate da  una  Regione
nell'ambito di un giudizio in via principale anche in  riferimento  a
parametri diversi da quelli contenuti nel Titolo V della Costituzione
riguardanti il riparto di competenze  tra  lo  Stato  e  le  Regioni,
quando la  violazione  ridondi  su  tali  competenze  o  in  generale
sull'autonomia regionale. 
    In particolare, con riferimento all'art. 77 Cost., codesta ecc.ma
Corte ha  spesso  ribadito  «che  le  Regioni  possono  impugnare  un
decreto-legge  per  motivi  attinenti  alla  pretesa  violazione  del
medesimo art. 77, "ove adducano che da  tale  violazione  derivi  una
compressione delle loro competenze costituzionali" (sentenza n. 6 del
2004)» (Corte cost., sent. n. 22 del 2012). 
    Ed   infatti,   attraverso   l'utilizzo   dello   strumento   del
decreto-legge, lo Stato vincola le Regioni utilizzando uno  strumento
improprio, ammesso dalla Costituzione per esigenze del tutto diverse.
Inoltre, l'approvazione di  una  disposizione  attraverso  la  corsia
accelerata della legge di conversione pregiudica la possibilita'  per
le regioni  di  rappresentare  le  proprie  esigenze  nel  corso  del
procedimento legislativo. 
    In secondo  luogo,  e'  appena  il  caso  di  ricordare  come  la
giurisprudenza   costituzionale   abbia    ripetutamente    sostenuto
l'inammissibilita' degli emendamenti disomogenei inseriti durante  la
procedura di conversione per «difetto di omogeneita'», ovvero per  la
mancanza  di  un  «nesso   funzionale   tra   le   disposizioni   del
decreto-legge  e  quelle  impugnate,  introdotte   nella   legge   di
conversione» (Corte cost., sent. nn. 22 del 2012 e 32 del 2014). 
    Ed infatti, il presupposto del «caso» straordinario di necessita'
e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come  un
tutto unitario,  ovvero  un  atto  normativo  fornito  di  intrinseca
coerenza delle  norme  in  esso  contenute,  o  dal  punto  di  vista
oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. 
    Pertanto, la semplice immissione di una disposizione nel corpo di
un decreto-legge oggettivamente o teleologicamente unitario non  vale
a trasmettere, per cio' solo, alla stessa  il  carattere  di  urgenza
proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza  di
oggetto o di finalita'. 
    Con  particolare  riferimento  alla   natura   della   legge   di
conversione,  codesta  ecc.ma  Corte  ha  poi   ritenuto   che   tale
provvedimento normativo debba essere inteso come «legge a  competenza
tipica», che non puo' ospitare qualsiasi contenuto ulteriore ma  deve
esclusivamente rimanere  entro  il  novero  degli  oggetti  normativi
individuati originariamente nel decreto-legge. 
    Pertanto, l'aggiunta di ogni altra norma che non  rientrasse  nel
perimetro  segnato  dalle  norme  originarie  importerebbe   un   uso
improprio del  potere  di  conversione,  interrompendo  quel  «legame
essenziale tra decreto-legge  e  legge  di  conversione,  presupposto
dalla sequenza delineata dall'art. 77, secondo comma, Cost.». 
    In  tali  circostanze,  si  determina   un   «vizio   procedurale
peculiare» che colpisce le stesse norme eterogenee e che spetta  alla
Corte   costituzionale    stessa    accertare    -    in    relazione
all'apprezzamento politico operato  dal  Governo  e  controllato  dal
parlamento -, attraverso un «esame del  contenuto  sostanziale  delle
singole disposizioni aggiunte in sede parlamentare poste a  raffronto
con l'originario decreto-legge». All'esito di tale esame le eventuali
disposizioni «intruse» risulteranno «affette da vizio di  formazione,
per violazione dell'art. 77 Cost., mentre saranno fatte  salve  tutte
le componenti dell'atto  che  si  pongano  in  linea  di  continuita'
sostanziale,  per  materia  o   per   finalita',   con   l'originario
decreto-legge» (Sent. n. 32/2014). 
    Tale  orientamento   costituzionale   afferma   chiaramente   che
l'esclusione  della  possibilita'  di   inserire   nella   legge   di
conversione  di  un  decreto-legge  emendamenti  del  tutto  estranei
all'oggetto e alle finalita' del testo originario non risponde a mere
esigenze di «buona tecnica normativa», ma  e'  imposto  dallo  stesso
art.  77,  secondo  comma,  Cost.,  che  istituisce  «un   nesso   di
interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal  Governo  ed
emanato dal Presidente della  Repubblica,  e  legge  di  conversione,
caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare  rispetto
a quello ordinario». La facolta' di emendamento, pertanto,  trova  un
preciso limite  nella  impossibilita'  di  interrompere  la  sequenza
tipica prevista dall'art. 77, secondo comma,  Cost.  Qualora  venisse
spezzato il nesso di «interrelazione  funzionale»  esistente  tra  le
norme del decreto-legge e della legge di conversione  si  produrrebbe
un vizio  radicale  nella  formazione  della  legge  conversione  per
«carenza» dei suoi presupposti, e non per mancanza dei  requisiti  di
necessita' ed urgenza. 
    Orbene, con specifico riferimento al caso di specie, risulta  del
tutto evidente  la  disomogeneita'  dell'emendamento  inserito  dalla
legge n. 20/2015. 
    In sede di conversione del d.l. che  reca  «disposizioni  urgenti
per l'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi
e per lo sviluppo della citta' e dell'aree di Taranto»,  infatti,  la
disposizione normativa - che contiene numerose disposizioni  inerenti
alle  imprese  che  gestiscano  stabilimenti   industriali,   ed   in
particolar modo a quelle adiacenti la zona di Taranto -,  in  maniera
del tutto disomogenea e incoerente, provvede ad inserire altresi'  la
disciplina  di  carattere  generale  del  Fondo  di   rotazione   per
l'attuazione delle politiche comunitarie. 
    Tale intervento risulta  evidentemente  estraneo  alla  finalita'
generale  e  al  carattere  strutturale  della   modifica   normativa
introdotta  in  sede  di  conversione  del  richiamato   decreto   di
straordinaria necessita' e urgenza, e deve pertanto essere dichiarato
illegittimo per violazione dell'art. 77 Cost.